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La Psicoterapia Sistemico Relazionale
La Sistemico Relazionale è uno dei tipi di psicoterapia attualmente più diffusi insieme alla terapia cognitivo-comportamentale. Questo approccio trova la sua specificità nella presa in carico di tutto il nucleo familiare e in un intervento mirato a modificarne le dinamiche disfunzionali mentre nella seconda si opera sul singolo soggetto e sul sintomo
La psicoterapia sistemico-relazionale concepisce, appunto, la famiglia come un sistema cibernetico ovvero come un'entità rappresentata da singole parti interagenti tra loro e dove l'analisi viene diretta alle relazioni interpersonali e non all'organizzazione intrapsichica di ognuno dei componenti. Ogni nucleo familiare è caratterizzato da una sua struttura, da regole interne e da modalità peculiari d'interazione tra i membri; in ogni famiglia viene a costituirsi, a partenza dalla fusione dei vari stili individuali di attaccamento e di accudimento, un modello operativo condiviso , una sorta di copione relazionale regolato da taciti accordi dove ad ognuno viene attribuito un ruolo fisso e dove vengono nutrite determinate aspettative e vengono attuate interazioni articolate secondo sequenze ripetitive (definite in psicologia ridondanze procedurali). Lo psicoterapeuta dovrà tener conto del fatto che ogni famiglia-sistema possiede una struttura sua propria e di conseguenza l'intervento dovrà essere rigidamente contestualizzato. Si andranno ad analizzare le modalità relazionali sopratutto attraverso lo stile della comunicazione tra i vari membri cercando di modificare l'assetto preesistente con le sue dinamiche disfunzionali e contrastando la tendenza, tipica di ogni sistema, a mettere in atto retroazioni negative per ristabilire l'omeostasi precedente. Ma quando si può dire che una famiglia è normale? In statistica anche la normalità corrisponde alla media, alla fascia centrale tra valori estremi. In quest'ottica anche una famiglia con un funzionamento ottimale potrebbe essere considerata anormale quanto una famiglia con dinamiche fortemente disfunzionali. La risposta è da ricercarsi nell'adeguato svolgimento dei compiti secondo i ruoli tipici di ognuno e sopratutto nella cura della crescita e del benessere dei membri. Questa concezione è fondata sugli ideali culturali e perciò può variare in base alla comunità etnica.
Mio figlio si blocca davanti alla prospettiva di partecipare a giochi di gruppo
buongiorno,
ho un unico figlio di 3 anni e mezzo, sano ben cresciuto e molto intelligente, solo che spesso si blocca davanti alla prospettiva di partecipare a giochi di gruppo con i compagni, addirittura non monta sugli scivoli e preferisce isolarsi ad osservare... tale atteggiamento è stato segnalato anche la scorsa stagione dalle educatrici del nido che frequentava, classificandolo come atteggiamento caratteriale.
A casa gioca,corre e salta esigendo però il padre, la madre o la nonna come compagno di giochi. Disegna figure incomprensibili e si scoccia subito, in particolare se non c'e' un adulto al suo servizio. E' un po' capriccioso e viziatello a causa forse delle troppe attenzioni da figlio unico, ma quello che mi preoccupa e' quell'atteggiamento timido ed introverso davanti alla prospettiva di giocare con i coetanei, o semplicemente di giocare in loro presenza, preferendo di rifuiarsi in un angoletto con il gioco portato da casa che non molla neanche di notte.
Eppure sono certo che lui vorrebbe ad ogni costo giocare e saltare con gli altri, ma secondo me si blocca per timidezza o ansia della prestazione, questo è confermato dal fatto che se al parco giochi non c'è nessuno, lui scatta come una molla e si arrampica ovunque poi quando arrivano altri diventa impassibile, pigro e si isola .
Abbiamo provato a spronarlo in vari modi, anche con le maniere dure, ottenendo poco o niente.
Addiritura è nato un conflitto tra me e la madre, la quale sostiene di metterlo in punizione in una stanza al buio, con qualche sculaccione ogni qual volta che il bambino fa capricci, disobbidisce o si rifiuta di andare alle feste di compleanno dei compagni di asilo. Io all'opposto sono troppo permissivo, nutro un'amore smisurato e morboso nei confronti del bimbo, concedendogli un po' troppo, assecondandolo nei giochi e non essendo abbastanza duro nei rimproveri. Chiedo a voi del settore quele possa essere il giusto modo di affrontare le presunte insicurezze e i capricci del bambino, senza rischiare di peggiorare ulteriormente la situazione .
grazie
Risponde il Dott. Massimo Ventura
Gentilissimo Max,
le sue osservazioni su suo figlio suonano così realistiche che leggendo le sue parole pare quasi di vederlo all'opera... O in disparte, a seconda della situazione descritta.
Direi, a mio modesto parere, che le premesse al discorso sono già nella sua gentile lettera, per cui verrò subito al punto, per altro piuttosto evidente.
Vorrei farla un attimo sorridere, ma senza togliere importanza alla sua situazione: ha presente quello spot pubblicitario di non ricordo che gratta-e-vinci che dice "ti piace vincere facile"? Ecco, sembra che il problema di suo figlio sia non tanto il giocare o meno con i coetanei quanto il mettersi a confronto con loro in quelle attività comuni che caratterizzano la loro età. A quell'età si sa, il gioco è una cosa seria, ma suo figlio preferisce giocare sul sicuro, con accanto un adulto, si badi bene, del suo proprio entourage familiare, che molto probabilmente lo lascerà "vincere" o comunque non ne stimolerà lo spirito competitivo.
Mentre lo mette in ansia, e a quest'ultima egli reagisce con il ritiro sociale, il dover dimostrare qualcosa agli altri, quegli altri cui - essendo suoi coetanei - egli non può ovviamente chiedere di lasciarlo vincere.
Più che un atteggiamento "caratteriale" la vedrei come una scelta in realtà, ben chiara, per altro. E, se mi consente, a nulla valgono litigi coniugali sulla posizione da prendere in merito al suo atteggiamento. Perché probabilmente suo figlio ha così tanta "paura" del confronto - della possibile perdita dell'idea vincente (e comoda) che ha di se stesso - che non si lascerebbe convincere nemmeno, probabilmente, dai più severi castighi.
Fin qui, immagino sia già tutto chiaro, come situazione, non ho fatto altro che tradurre in concetti le sue informazioni. Ma come comportarsi, giustamente, lei chiede? Suppongo che agire direttamente su di lui non avrebbe alcun riscontro, è sicuramente trincerato sulle sue posizioni che per lui sono non capricci, si badi bene, ma questione di sopravvivenza sociale: evitare il confronto coi pari per poter continuare a sognarsi il Superman o Reuccio che dir si voglia, della situazione. La stessa differenza che potrebbe esserci - a livello adulto - tra chi si crede un atleta ma non ha mai fatto una flessione in vita sua e chi si dedica all'allenamento con costanza affrontando lo sforzo e la fatica che questo richiede. O tra chi pretenda di avere buoni voti a scuola senza mai toccare libri e chi invece si applica.
Sarebbe semplicistico e riduttivo, ritengo, "inquadrare" (brutto termine, per altro!) in questo senso il bambino, che dopo tutto ha solo 3 anni e mezzo e ha tutto il tempo di imparare che al confronto con l'altro, per amichevole che sia, difficilmente si sfugge.
Mi permetterei quindi di suggerirle, in maniera più operativa e meno concettuale, di "smantellare" pian piano, non di colpo, il mondo comodo di suo figlio: passi per il video gioco, che alla lunga non da poi tutta questa gratificazione, ma se gli adulti che gli stanno intorno cominciassero a non collaborare, a non rispondere alle sue richieste di presenza nei suoi giochi, ma al contrario gli tenessero ben aperta la porta verso il mondo dei pari (asilo, parco giochi, ecc.) forse le cose cambierebbero e sarebbe "costretto" a rivolgersi di più ai suoi pari. E non preoccupatevi se per un pò dovesse continuare ad isolarsi, stando tra i coetanei, è una paura che deve imparare pian piano a vincere. Semplicemente. Come abbiamo fatto tutti, alla sua età.
Oh certo, c'è da aspettarsi una sonora protesta, nel caso, per questa assenza dell'adulto ai suoi comandi, ma non dobbiamo dimenticare che lui che gli "altri" non siano al suo servizio, sotto sotto lo ha già capito, proprio attraverso quei coetanei che per questo motivo tende ad evitare.
Non abbiate timore di essere più genitori che fanno i genitori e meno compagni di gioco, fa parte del crescere questo genere di frustrazioni, e sono certo che, se facesse mente locale sulla sua, di lei padre intendo, infanzia e adolescenza, troverebbe che la competizione tra pari è sicuramente stata un buon motore di maturazione.
Purtroppo sono molte le sfumature di comportamento che suo figlio potrà avere ma a cui una mail difficilmente può rispondere in anticipo.
Spero solo di esserle stato almeno d'aiuto nel mostrarle la situazione che state vivendo in famiglia da un diverso punto di vista. Rimanendo quindi a disposizione, per eventuali ulteriori chiarimenti, porgo i miei più
Cordiali saluti
Questa è una delle risposte date alla domanda “Mio figlio si blocca davanti alla prospettiva di partecipare a giochi di gruppo” presente su Psicologi-Italia.it